RICORDO DI DAVIDE
Ho lavorato una vita in una banca qui a Valenza, e Davide veniva da noi per le sue operazioni e per quelle dell'azienda paterna: il lunedì mattina era il momento dei nostri incontri "alpinistici".
Il mio ufficio era una scrivania posta al centro del salone, e come lo vedevo varcare la soglia interrompevo bruscamente quello che stavo facendo e correvo ad ascoltare il resoconto delle sue scalate domenicali.
Mentre raccontava aveva gli occhi pieni di gioia e di malcelata fierezza. Malcelata perché nonostante bravura e modestia fossero tratti essenziali della sua attività, non riusciva a non sentirsi orgoglioso e appagato delle sue imprese di arrampicatore. E a buon diritto, se é vero come é vero che le guide di Courmayeur lo consideravano molto più di una promessa.
Confesso che condividevo la sua passione e provavo invidia e rimpianto per come spendeva gli anni della sua giovinezza, io che avevo sprecato la mia in chiacchiere da caffé nella routine sedentaria della vita di paese. E lo incoraggiavo a continuare, anche se il suo entusiasmo e la sua ferrea volontà di migliorarsi ulteriormente non avevano certo bisogno dei miei incitamenti.
Quando successe la disgrazia, oltere al dolore per la perdita di una persona stupenda e di un amico con cui condividere l'amore per la montagna, sentii un forte senso di colpa, mi sentii corresponsabile, mi chiesi se invece di spingerlo verso sfide sempre più difficili non sarebbe stato meglio frenare i suoi propositi, mortificare la sua ambizione, ingigantire rischi e pericoli.
Dopo un attimo di riflessione la risposta che mi venne dal cuore fu no, non sarebbe stato meglio. Diciamo che sarebbe stato inutile. Perché Davide la montagna ce l'aveva dentro come l'abbiamo noi, ma la sua non era fatta di escursioni su sentieri o camminate su ghiacciai, era qualcosa di diverso. Qualcosa da cui ci si sente imperiosamente chiamati, qualcosa da cui ci si sente scelti in mezzo a mille, qualcosa per cui ci si sente predestinati. E non ci sarebbe stato nessun tentativo di dissuasione in grado di fermarlo.
L'ha fermato purtroppo una fatalità atroce, una malasorte imprevedibile che cancella le capacità tecniche e le precauzioni, nell'alpinismo come in qualsiasi altra attività umana.
Capisco come tutto questo sia una ben magra consolazione per chi lo ha amato e continua ad amarlo. Ma una cosa é certa: Davide é qui in mezzo a noi, oggi e sempre. Ci assiste durante le nostre attività, osserva con occhio partecipe e commosso i ragazzini che si cimentano sulla nostra palestra di roccia, ci dice che le montagne sono una sublime materializzazione della bellezza.
Marco Demartini